Marco Tamburro


Marco Tamburro nasce a Perugia nel 1974. Nel 1994 si diploma in Architettura e Arredamento all’Istituto d’Arte della sua città. Nello stesso anno si trasferisce a Milano dove entra in contatto con il vivace ambiente artistico locale e frequenta all’Accademia di Belle Arti di Brera il corso di Scenografia iniziando la collaborazione come assistente di diversi fotografi e scenografi. Questa scelta non è affatto casuale. In Marco Tamburro infatti è già maturo l’interesse verso gli ampi spazi del teatro, nei quali prenderanno forma e si animeranno, attraverso la sua visionaria fantasia creativa, imponenti pannelli pittorici. Della pittura lo affascina la sua grande potenza espressiva che assolve un ruolo fondamentale nel riuscire a tradurre immagini visive in mezzo comunicativo. Ma Tamburro predilige anche la sua versatilità nel riuscire ad interagire con altri linguaggi artistici come il teatro, la fotografia, l’arredamento, l’architettura, tutte le componenti essenziali perla realizzazione di un impianto scenografico.
A Milano inizia la sua prima esperienza pittorica ed espone le proprie opere in alcune gallerie e spazi alternativi della città, legati soprattutto l’ambiente della moda e del design.
Dopo la permanenza a Milano, Tamburro decide di trasferirsi definitivamente a Roma, città che lo attrae da sempre per le sue invidiabili bellezze artistiche e per l’intensa vita metropolitana.
A Roma ritrova la sua passione per il teatro, comincia a lavorare con diverse compagnie teatrali, si dedica a tempo pieno alla pittura e nel 1999 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Nel 1999 fonda anche un’associazione culturale che si interessa esclusivamente di arti visive. La vera e propria formazione artistica di Marco Tamburro avviene a Roma, sia per quel che riguarda il raggiungimento di una completa padronanza pittorica, sia per i riconoscimenti e gli apprezzamenti ricevuti in ambito artistico. Qui infatti, si inserisce nel giro di pochi anni nel jet set artistico romano, frequenta importanti critici e galleristi, esponendo in diverse gallerie e partecipando a numerose collettive con giovani artisti emergenti.
L’ambiente culturale romano lo spinge anche a raccontare in modi visionari la vita quotidiana: una vita non vissuta, in cui t’uomo comune si lascia trascinare nel vortice dei suoi ritmi incessanti e frenetici, perdendo di vista il tempo che scorre troppo velocemente, senza riuscire a cogliere le piccole cose che lo circondano e che sta vivendo.
Tutto ciò spiega jl ruolo marginale che la figura umana ha nella sua pittura; è una semplice presenza, un’ombra, uno spettro consumato dal tempo che insegue incessantemente le traiettorie infinite della città, attraversando lunghe strisce pedonali e salendo in cima a vertiginosi e monumentali grattacieli.
L’uomo rimane inevitabilmente schiacciato ed alienato da questo magma che è la metropoli odierna, simbolo della forza del potere ostile e aggressivo che lo sovrasta.
Nel corso dl tempo Tamburro riduce progressivamente nelle proprie opere l’uso di ritagli fotografici, una scelta determinata dalla consapevolezza di aver ormai scelto come mezzo espressivo principale la pittura, in cui le campiture di bianco e di nero, a volte interrotte da squarci accesi di rosso, esprimono al meglio la trasfigurazione di quel “teatro della vita’ che egli vuole rappresentare.
Questo “teatro” nei quadri di Marco Tamburro diventa una rappresentazione simbolica di un’umanità trasformata in una massa di tristi burattini manipolati da un congegno infinito di fili, tra i quali si rivede impotente anche lo stesso artista. Il plauso e il consenso che Marco Tamburro riceve dal collezionismo e dal sistema dell’arte ha fatto sì che gallerie e istituzioni pubbliche si stiano interessando sempre più alla sua opera e la diffondano con mostre di rilievo e pubblicazioni su alcune delle più importanti riviste d’arte italiane.
Letterati, critici d’arte ed esponenti del mondo dell’arte come Luca Beatrice, Maurizio Sciaccaluga. Enzo Santese, Chiara Canali, Barbara Martusciello, Renato Civello, Vito Riviello, Ennio Calabria, Floriano de Sanris, ed altri, hanno definito l’opera di Marco Tamburro come personale ed efficace nel rappresentare con cinica puntualità l’annullamento dell’identità che sostanzia l’età contemporanea.